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7 ott 2023

Dalla parte del figlio di Giuseppe Filidoro: un romanzo illuminante e pregevole




Dalla parte del figlio è il nuovo libro di Giuseppe Filidoro, edito da Bertoni Editore (febbraio 2023), un romanzo psicologico illuminante e pregevole. La narrazione si fonde con una minuziosa analisi della parte più profonda della psiche umana, con estrema delicatezza oltre che con specifica conoscenza. Dalle sfaccettature comportamentali di ogni protagonista, si evincono tematiche complesse di disagi ‘sommersi’ quali importanti testimonianze di indiscutibile verità. Il romanzo individua con chiarezza e precisione il valore di equilibri familiari che coinvolgono una coppia e il rapporto genitori-figli e di come tali relazioni si ripercuotano su ogni singola esistenza e soprattutto, sull’immagine fornita verso il mondo esterno.

La scena quotidiana e rituale della prima colazione è l’incipit descrittivo della storia, coerente e credibile, di una famiglia tradizionale composta dalla triade padre, madre e figlio, protagonisti e narratori in prima persona. Ludovico è un padre molto preso dal lavoro, la sua attività professionale copre la maggior parte del tempo ed è eccessivamente esigente e meticoloso; Crystal è una bella donna, madre e moglie premurosa e compiacente ma palesemente insicura, nel suo tempo libero si diverte a postare le sue foto in rete; Samuele è il figlio quasi diciannovenne, diligente e coscienzioso che ogni genitore vorrebbe avere, studente brillante ma poco eloquente, sfuggente e abbastanza enigmatico: “Quando  ho voglia di estraniarmi dal mondo intorno a me mi concentro sulle mie mani […]Dall’età di cinque anni ho iniziato a superare i momenti di imbarazzo in questo modo”.

Da subito entriamo in contatto con l’intimità di un contesto familiare riservato, apparentemente normale e ben inserito nel tessuto sociale, come tanti altri. «La perfezione in tutto è l’obiettivo che ognuno dovrebbe avere nel condurre la propria vita» è il motto vigente quale simbolo di una famiglia felice. La loro esistenza scorre pacificamente nella convivenza domestica, nel lavoro, nelle amicizie e nello studio finché non emergono situazioni segrete e non sempre confessabili, che trasformano quella normalità senza macchia a cui i protagonisti ambiscono, in una realtà vulnerabile e ingannevole. In particolare, il bagaglio emotivo e gli strascichi di una mancata affettività nel passato di Ludovico e Crystal, ricordi e reminiscenze di traumi infantili rimossi come fantasmi ma mai risolti, sono costantemente presenti. I pensieri, espressi sempre con monologhi interiori, inconsapevolmente, ingabbiano in meccanismi disfunzionali che non danno pace, condizionano e determinano ogni futura azione e personale visione dei fatti.

Al contrario, la personalità di Samuele, chiamato Sam, poco visibile nella prima parte del romanzo, si concretizza solo dalla descrizione della sua camera, il cui accesso è proibito ma dove Crystal entra comunque e di nascosto: “Mi sento inquieta. In questa camera ci sono un silenzio e un ordine irreale […] Mi chiedo cosa non conosco di mio figlio”. A quanto pare, Sam è un adolescente tranquillo, non ha mai causato alcun problema ai suoi genitori, all’ultimo anno di liceo raggiunge il massimo del profitto tanto da meritare una borsa di studio per l’Università di Harvard. “Samuele è sempre nella sua camera a studiare, concedendosi un’uscita solo al sabato sera con i suoi due amici, Dado e Filippo”, entrambi soggetti strani: Dado ha un carattere un po’ ribelle mentre Filippo è un ragazzo fragile ma Sam si trova bene con loro, li protegge e allo stesso tempo, li domina da vero ‘capobranco’. Vanno spesso a giocare a bowling e si eccitano nel fare strike: un gioco che si dimostra tutt’altro che strumento ludico e di divertimento.

Tutto è ‘razionale’ nella logica delle emozioni ma l’etichetta della perfezione che Ludovico ossessivamente pretende da se stesso, dalla moglie nonché dal figlio, inizia a vacillare. La narrazione suggerisce che l’equilibrio familiare è indubbiamente fittizio, esiste solo in virtù di un’illusione narcisistica della famiglia perfetta pertanto, destinato a rompersi. Inizia tutto quando Crystal scopre l’esistenza di un diario che Sam è solito scrivere quando si chiude in camera: “Tutti i ragazzi hanno un diario […] Le pagine sono scritte con caratteri insoliti[.] Le lettere maiuscole sono finemente disegnate, con orli colorati e volute e le lettere minuscole terminano tutte con una specie di virgola ricurva, un segno che avverto come minaccioso, non so perché”.

Secondo la concezione pirandelliana la «trappola della forma che imprigiona l’uomo è la famiglia» e per Sam, infatti, il suo ambiente familiare è opprimente, pieno di ipocrisie e menzogne; le personalità dei suoi genitori sono delle illusioni: “Mio padre e mia madre sono entrambi piuttosto insignificanti, ma in fondo mi sembra siano buone persone”. Nei suoi scritti Sam si rivela senza inibizioni, non finge di essere qualcosa di diverso, mostra chiaramente il senso apatico, frustrato e cinico della sua esistenza nonché la sua predisposizione aggressiva.  Il mondo bello e pulito gli va stretto, vuole avere più esperienze, manifesta la voglia di riservatezza, vede i genitori sotto un’ottica completamente diversa. Un atteggiamento quale primo segnale di un temuto allarme tuttavia, sottovalutato dai suoi genitori.  Essere genitori è l’esperienza più difficile che ci sia, non esiste un manuale istruzioni e può accadere che figure adulte della famiglia siano esse stesse in difficoltà nell’ affrontare il dolore a livello emotivo o peggio, abbiano per prime la necessità di essere aiutate.

Dal punto vista tecnico e strutturale, nella sequenza dei capitoli, sono presenti sia dialoghi diretti che brevi messaggi di telefonia, a conferma dell’attualità degli argomenti; il procedimento narrativo è ricco di metafore, simbologie e utilizza l’analessi, interrompendo il presente per raccontare eventi passati, quali elementi essenziali per una maggiore comprensione dei fatti. La trama coinvolgente ed emozionante, lo stile e la struttura ineccepibili, rendono il romanzo una valida esperienza di riflessione e consapevolezza, oltre che un’ottima lettura.

Da sottolineare gli aspetti della psicologia delle emozioni e del disturbo psichico, con una naturalezza che determina un passo avanti, al fine di sdoganare dei temi ancora poco diffusi, dissimulati quasi sempre dietro la vergogna.

La penna di Filidoro è un inquieto scatto fotografico che denuda da tutte le angolazioni e offre una nuova e sorprendente comprensione umana di cause e conseguenze, in quel concetto fin troppo stereotipato di disagio giovanile, che diventa esistenziale nel momento in cui manca la realizzazione del Sé futuro e del mondo. Partendo dalle esperienze genitoriali, ci si rende conto degli infiniti lati oscuri ereditati e troppo spesso, dietro la trappola del perfezionismo si celano vere e proprie psicopatologie. Si nasce in famiglia, si deve poter nascere da una famiglia sana e normale ed è compito della famiglia introdurre il figlio alla vita e ai rapporti sociali. Ma, soprattutto, oltre all’amore, è importante l’accettazione dei propri figli, nel rispetto della loro unicità. La famiglia perfetta non è mai esistita, si rivela un fallimento anche nella finzione.

Dalla parte del figlio: un’opera dove le problematiche di ‘ferite’ irrisolte danno origine a qualunque cosa… l’interpretazione dell’epilogo della vicenda familiare, più che attendibile, spetta ai lettori.



9 feb 2017

L'ultimo bagliore - Il nuovo romanzo di Giuseppe Filidoro




“Sorrise amaro, nel considerare di quanta presunzione si nutre l’uomo coltivando l’illusione di avere il controllo del tempo, come se ne fosse padrone, e non di questo solo un misero ostaggio




L’ultimo bagliore” (Osanna Edizioni), il secondo romanzo di Giuseppe Filidoro è la conferma di un nuovo talento capace di emozionare, trovando nella scrittura un luogo privilegiato a cui affidare pensieri e riflessioni sull’animo umano e la sua coscienza. L’incipit del romanzo ci trasmette già la percezione di un preciso proposito dell’autore di consegnarci metaforicamente un messaggio essenziale, particolarmente incentrato sui meccanismi impietosi della mente nonché sui tanti subbugli dell’essere.
Ogni esperienza narrata è un’epifania retrospettiva ove il passato, tramite un preciso percorso narrativo, attiva la memoria involontaria del Sé. Siamo di fronte a temi incandescenti quali la morte, la violenza, il senso di colpa, il senso del peccato e il desiderio di espiazione, la fragilità dell’uomo e la forza del destino che, discontinui e imprevedibili secondo la loro essenza più vera, s’insinuano dentro le pieghe del presente delle due figure di spicco: Betta e Don Cesare. L’una si trova a ripercorrere stati d’animo nelle mappe della sua memoria di bambina per riuscire in qualche modo a bonificare e superare il suo “inferno buio”; l’altro accetta passivamente il ruolo che gli si attribuisce sulla scena dell’esistenza, dibattendosi tra le sue “due anime”. Entrambi introversi e tormentati da incubi ricorrenti e costantemente turbati da larve inconsce. Non meno importanti sono le figure femminili antagoniste di Maria e Savina, dal carattere ambiguo e inquietante.
L’autore ama anche attardarsi in minuziose descrizioni, degne di nota, ove la natura e i suoi paesaggi, suggestivi e misteriosi, sono una rappresentazione simbolica dell’energia e del potere dell’essere umano nel profondo. La stessa descrizione dell’evento sismico s’incastra perfettamente nel tessuto narrativo; esso irrompe per scuotere le fondamenta dell’ego e della mente quale disagio psicologico e senso desolato del destino che, sottilmente, gioca sulle corde dell’anima.
Sfondo misterioso e dal carattere simbolico è anche l’immagine della luna, rappresentata come la zona notturna, inconscia e crepuscolare della personalità e della vita infantile; una luna che è il versante passivo ma fecondo dell’immaginazione.

Un’ingannevole logica orienta la fabula e s’impone come se l’autore stesso interrogasse e analizzasse chi in realtà non è unicamente personaggio bensì un vero e proprio Essere seppur incompleto, frammentato e perso negli oscuri meandri dei suoi ricordi.
È doveroso osservare ogni angolatura del testo per riuscire a classificarne correttamente il genere, dato che vari elementi suggeriscono un possibile legame con il romanzo psicologico e introspettivo, senza ignorare un’impostazione di stampo realistico di una narrazione inventata ma al tempo stesso verosimile, in cui l’inquietudine e il senso di colpa rispecchiano la forma più comune di angoscia della nostra cultura.  Con tale opera inoltre, Filidoro ha dato prova di straordinarie intuizioni di ordine sociologico per giungere infine a un’analisi dell’animo umano, propria del romanzo decadente. Continui flussi di coscienza riportano ogni vicenda del passato in superficie; in particolare Betta e Don Cesare sono sottoposti a tormenti continui e traumi interiori sentendosi vittime di voci opposte, di contrasti cupi anche se diversi nelle loro sorgenti personali. Ogni figura qui descritta è un essere a sé che si auto-analizza, si esamina, si scruta e si tormenta nel rivivere fantasmi del passato che appaiono del tutto personali seppur strettamente collegati, talmente forti e insistenti da far desiderare persino la morte quale liberazione da essi.  Lo stesso desiderio di espiazione costringe il co-protagonista Salvo a rianalizzare, in cella, le zone più oscure del suo passato, afflitto dal tormentoso ricordo di un amore bello ma malato, reso quasi perfetto dalla volontà di non esistere più.

Nonostante la ricchezza dell’intreccio, qua e là disseminato di elementi noir, ci troviamo di fronte a una prosa limpida e dai toni pacati che predilige una struttura squisitamente tradizionale, a sottolineare capacità narrative e introspettive notevoli. Non manca la tecnica espressiva che si evidenzia nelle sequenze in carattere corsivo nello specifico letterario dell’analessi. Un insieme di elementi, fitti rimandi alla narrativa proustiana e bufaliniana, induce a riflettere sui tanti quesiti che l’uomo è portato per sua natura a porsi e soprattutto su quel grande e unico perno intorno a cui girano la mente e il cuore dell’uomo a seguito di traumi vissuti, la cui essenza va assolutamente indagata. L’assoluto protagonista nonché tema centrale del romanzo è, dunque, il tormento interiore di una memoria implicita, reclusa negli incubi più difficili da sopportare, un’impronta indelebile di conflitti di una coscienza che implode nell’io e governa l’intera esistenza.
L’ultimo bagliore di Giuseppe Filidoro è senza alcun dubbio un mezzo espressivo attraverso cui è possibile porsi domande fondamentali sulla propria esistenza, riscoprendo traumi e dubbi in grado di trasmettere alchimie interiori intrise di significati che troppo spesso tengono in ostaggio menti rassegnate e incapaci di accettare il corso del destino, con un costante interrogativo: esiste davvero un “ultimo bagliore” che possa condurre verso un ideale ultraterreno, di libertà da noi stessi?